Majazzin House Gallery è il nome che identifica una abitazione settecentesca, ex magazzino di cereali delle monache del Conservatorio del Carmine, in cui l’allestimento degli spazi varia grazie al susseguirsi di esposizioni di opere e installazioni di artisti contemporanei.
L’abitazione è quella di Sante Cutecchia, architetto e l’idea nasce grazie alla presenza di due artisti che in più occasioni hanno sperimentato simili progetti: Giovanni Matteo, illustratore, fumettista e pittore e Caterina Striccoli, ceramista, entrambi insegnanti di arte.

venerdì 27 aprile 2012




MUTE[A]ZIONI
Personale di 
Hernàn Chavar 

dal 4 al 18 maggio - inaugurazione 4 maggio, ore 19,00

Testo di Giovanni Matteo

Notte. Un capanno nel bosco. Dentro c'è un uomo, al buio. Nel silenzio si moltiplicano gli stridii, gli squittii, i bramiti, i grugniti. L'uomo accende una candela e fa l'unica cosa che può fare: disegna. Disegna le creature che lo accerchiano, cerca di dare un volto alle sue paure, come gli uomini del Paleolitico con i loro bisonti, terribili e meravigliosi. Ora quelle bestie sono nel suo capanno: lui stesso le ha evocate, tirando linee intorno ai loro occhi bianchi che lo osservano imprigionati nella carta.

L'arte di Hernàn Chavar non ha niente a che fare con i ritriti cut up di icone pop ed articoli in offerta speciale di modernariato underground, oramai toppe colorate sulla grigia coperta dell'omologazione estetica. Le sue sono visioni, materia nobile dell'inconscio tradotta in immagine.
Chi proprio non volesse lasciarsi fagocitare dalle visioni dell'artista marchigiano senza prima darsi ad infauste masturbazioni genealogiche potrebbe udire flebili eco degli incubi di Dino Buzzati e di Howard Phillips Lovecraft, tracce dell'eccezionale sensibilità grafica di un Dino Battaglia, un'analiticità compiaciuta degna degli acquerelli naturalistici di Dürer. Ma a che servirebbe?
Meglio entrare in quel capanno, nella densa oscurità del bosco, nella pancia della balena, nella mente di un dio creatore impazzito alle prese con una nuova, delirante genesi.
Majazzin cerca di offrire uno spaccato efficace del lavoro di Hernàn Chavar, presentando opere provenienti da diverse serie.
Colpiscono gli animali selvaggi che si animano sulle carte dell'artista: cervi, lepri, iene, ratti, lontre, procioni, bestie sognate e ricostruite segno per segno con la febbre del cacciatore e la pazienza del tassidermista.
Chavar si serve di tutto il suo patrimonio segnico per dare forma a creature marine che si fatica a definire pesci, tanto si distanziano dagli stereotipi visivi che possediamo dei branchiati: musi rincagnati o puntuti, teorie di spine, escrescenze, contundenti appendici splendono di nero di china sul bianco opaco della preziosa carta martellata, facendoli apparire come terrificanti divinità dimenticate nelle profondità dell'Oceano.
L' esoscheletro degli ortotteri e dei coleottori è una corazza per difendersi, le loro zampe e le loro mandibole robuste e corniformi armi per attaccare. Un inno alla violenza necessaria e misurata della natura, contrapposta all'idiozia delle guerre dell'uomo, evocata in alcuni taglienti disegni in mostra, in cui compaiono Stuka, carri armati e lo stucchevole sorriso del “dottor” Mengele.
Si può pensare a Chavar come ad una sorta di esploratore segnico dei regni naturali: ogni spedizione arricchisce il suo bagaglio di nuovi elementi grafici, ritmi e movimenti. Da una sapiente ed ispirata orchestrazione di questo complesso insieme hanno origine lavori in cui l'uomo (un uomo ingombrante, sensuale e per niente idealizzato) subisce una dolorosa ibridazione con diverse categorie del regno animale e vegetale: la pelle si ricopre di peli, rami e liane germogliano dalle braccia, dalla bocca fioriscono tentacoli, corni ed aculei si innalzano su una colonna vertebrale martoriata... mutazioni grafiche in cui la minuzia e la vitalità del segno hanno la loro esaltazione, ma è bene puntualizzare che l'atto grafico non scivola mai nel virtuosismo e nasconde, piuttosto, un sapore sciamanico.
Disegnando, Chavar prova a rivelare il segreto occultato in queste creature che non hanno partecipato al nostro progresso, alle nostre rivoluzioni, ma ci sono sempre state. A testimoniare l'inequivocabile presenza di qualcosa che ci trascende o, forse, più semplicemente, vola, nuota, striscia accanto a noi, parallelo alla nostra ridicola Storia di autoeletti signori del creato.
Questo stralcio di “Fight Club” di Chuck Palahniuk, che l'artista stesso ha voluto proporre, fornisce un'efficace chiave di lettura alla mostra, quasi un viatico al suo mondo:
Tyler mi ha detto di immaginarmi di piantare ravanelli e patate sul green della quindicesima buca di un campo da golf dimenticato.
Darai la caccia agli alci nelle valli boscose intorno alle rovine del Rockefeller Center e cercherai molluschi intorno allo scheletro dello Space Needle, inclinato di quarantacinque gradi. Dipingeremo sui grattacieli le figure di enormi totem e simulacri di divinità maligne e tutte le sere quel che resta del genere umano si ritirerà negli zoo abbandonati e si chiuderà a chiave nelle gabbie per proteggersi dagli orsi e dei grandi felini e dai lupi che di notte passeggiano e ci guardano dall'altra parte delle sbarre.
[...]Sarà il Progetto Caos a salvare il mondo. Un'era glaciale culturale. Un secolo buio prematuramente indotto. Il Progetto Caos obbligherà l'umanità a entrare in catalessi o in fase di remissione il tempo necessario alla Terra per riprendersi.
[...] Immaginati a far la posta all'alce dalle finestre dei grandi magazzini tra file puzzolenti di splendidi abiti da sera e smoking che vanno in malora appesi alle loro grucce, porterai indumenti di pelle che ti dureranno fino all'ultimo dei tuoi giorni e ti arrampicherai per i rami grossi come tronchi del kudzu rampicante che abbraccia la Sears Towers. Come Jack sulla pianta di fagioli, sbucherai dalla volta gocciolante della foresta e l'aria sarà così tersa che vedrai figure minuscole battere il granturco e disporre a essiccare strisce di carne di cervo nella corsia d'emergenza vuota di una superstrada abbandonata che si allunga larga otto corsie e torrida ad agosto, per mille chilometri"

BIO:
Hernàn Chavar è nato a Buenos Aires (Argentina) nel 1979; si è trasferito in Italia nei primi anni '80 vive e lavora a Porto Recanati in provincia di Macerata. Ha frequentato l'Istituto Statale d'Arte e l' Accademia di belle Arti di Macerata conseguendo il diploma con il massimo dei voti. Ha esposto a Milano, Roma, Bari, Berlino, ed in numerose mostre, festival, eventi all'interno del territorio marchigiano. Collabora con lo "Spazio MOHOC " di Monteprandone (AP) , la Galleria "ARTCORE" di Bari ed ha esposto presso la galleria "LE MUSE GIOVANI" di Adelfia (BA) ed e' membro attivo dell'associazione ADAM di Macerata.

Mostre principali:

2000: “Simpatici Pruriti” - Collettiva, Macerata
2009: “Project H” - Personale, Il Caffe’ Del Viale, Macerata
2009: “Mare Mostrum” - Collettiva nell'ambito del Festival “Adriatico-Mediterraneo”, Ancona
2010: “Abc- Esposizione e Presentazione Del Libro Serigrafico Abc”, Ancona
2010: Collettiva presso ILowARTGallery, Bari
2011: “Artika Festival” - Collettiva, Recanati