Majazzin,
in questo inizio di duemilatredici, dedica il proprio spazio per la prima volta
ad una esposizione di scatti fotografici, affiancati da un dipinto di grande
formato: i lavori esposti sono della pittrice e fotografa Stefania Digioia, che
propone un percorso sulla bellezza femminile.
I
protagonisti delle opere in mostra sono una donna anziana in deshabillé, due trans, una donna incinta
stranamente androgina ed una drag queen.
Questa asciutta presentazione potrebbe far pensare alla solita provocazione,
l’ennesimo freak show fotografico, o
un reportage militante per i diritti dei gay … invece no. L’obiettivo inquadra
queste persone alla ricerca della bellezza, non di reazioni di sdegno o
solidarietà.
L’artista,
a differenza del comunicatore visivo, non utilizza la bellezza per trasmettere
dei contenuti, ma la cerca, spesso dove a nessuno verrebbe in mente di farlo, e
la presenta perché possa essere abbracciata e compresa, utilizzando i suoi
mezzi: la pittura e la fotografia.
Stefania
Digioia percorre questo cammino intorno all’idea della bellezza femminile,
muovendosi in circoli, stringendola al centro. Scatta un primo piano intenso,
quasi violento, sulla trans Lola che si passa il rossetto sulle labbra,
affidando ad un gesto così delicato il compito decisivo di manifestare la sua
identità.
La
stessa delicatezza, la stessa cura dell’uomo che si passa il rimmel sulle
ciglia di fronte allo specchio. La macchina fotografica è davanti al soggetto,
dietro lo specchio da trucco, come se volesse rubare il segreto di quella
trasformazione, giocosa ed allo stesso tempo tragica, che fa femmina un maschio,
anche solo per una notte. I piedi, impietosamente ripresi in un primissimo
piano dai forti chiaroscuri, rivelano inequivocabilmente la natura virile del
soggetto, anche se sono fasciati in un paio di eleganti scarpe da sera dal
tacco alto. Stefania non cede al grottesco: mette semplicemente in luce la
disperata tensione dell’uomo verso lo stereotipo consunto della bellezza
femminile incarnato dalla vamp e
riconosce la bellezza non in questo ideale ma nella tragicità della tensione verso
di esso.
Una
leggera sottana a merletti, indumento che associamo immediatamente ad un’idea
di femminilità morbida e sensuale. Il bianco della seta risalta sul corpo della
donna che la indossa e che identifichiamo solo in un secondo momento come
un’anziana. L’artista non vuole enfatizzare il contrasto tra l’appeal sexy
dell’abito e la decadenza del corpo, anzi, sembra voler esaltare l’essenza di
quella bellezza consumata dal tempo, eppure integra nei gesti e nella
naturalezza della donna; la sua mano, subito evidente grazie all’uso sapiente
della luce e centro della composizione, non ci fa dimenticare il meridione
raccontato negli scatti di Franco Pinna.
Pamela
distesa sul letto, le chilometriche gambe allungate sulla parete: la sua
identità sessuale, che una consistente parte della società vive con
inquietudine per la sua supposta incertezza, è perfettamente definita nel ruolo
di pin up, a rimembrare, forse
inconsapevolmente, le Models ritratte
da Man Ray sul finire degli anni ’20 e conservate dallo stesso autore nel suo
album privato.
Una foto
dai toni intimi e drammatici, giocata su un forte contrasto chiaroscurale,
ritrae Lorelain nella vasca da bagno. Avvolto nell’ombra, il volto sembra
ancora più delicato e sensuale, mentre la mano in primo piano, investita dalla
luce, si mostra possente e virile.
La
presenza dell’elemento maschile si manifesta perfino nelle foto che ritraggono
una donna incinta. La solidità del corpo, la peluria scura e diffusa, la mimica
dura e risoluta appaiono quasi dissonanti rispetto al ventre ed ai seni
dolcemente prominenti per la gravidanza ma, anche in questo caso l’artista
dialoga con il soggetto in modo da farne emergere la peculiare bellezza. Sembra
volerci dire che la bellezza non ha un luogo preferenziale, ma è essa stessa un
luogo da esplorare, senza pregiudizi e rinunciando alla sicurezza degli
stereotipi e dei canoni comunemente accettati.
L’unico
dipinto in mostra è una grande tela che ritrae Lola. Dal fondo grigio cemento
emergono pochi tratti scuri e gocciolanti che ne definiscono il volto. Il cinabro
del rossetto accende la superficie incolore dell’opera. Un segno rosso che
racchiude il gesto, la scelta, l’identità, la bellezza. Con lo stesso colore
l’artista, come in tutti i suoi dipinti, ha tracciato i numeri che compongono
la cifra 2012. Date che servono a collocare l’opera nel fluire del tempo e l’esperienza
diretta che l’ha generata nel suo percorso individuale. Lola e le altre non
sono solo sguardi, pelle, vestiti e trucco, carne umana da mettere in posa, ma
persone che Stefania Digioia ha conosciuto e con le quali si è messa in gioco.
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