Majazzin House Gallery è il nome che identifica una abitazione settecentesca, ex magazzino di cereali delle monache del Conservatorio del Carmine, in cui l’allestimento degli spazi varia grazie al susseguirsi di esposizioni di opere e installazioni di artisti contemporanei.
L’abitazione è quella di Sante Cutecchia, architetto e l’idea nasce grazie alla presenza di due artisti che in più occasioni hanno sperimentato simili progetti: Giovanni Matteo, illustratore, fumettista e pittore e Caterina Striccoli, ceramista, entrambi insegnanti di arte.

venerdì 18 gennaio 2013




 
Majazzin, in questo inizio di duemilatredici, dedica il proprio spazio per la prima volta ad una esposizione di scatti fotografici, affiancati da un dipinto di grande formato: i lavori esposti sono della pittrice e fotografa Stefania Digioia, che propone un percorso sulla bellezza femminile.

I protagonisti delle opere in mostra sono una donna anziana in deshabillé, due trans, una donna incinta stranamente androgina ed una drag queen. Questa asciutta presentazione potrebbe far pensare alla solita provocazione, l’ennesimo freak show fotografico, o un reportage militante per i diritti dei gay … invece no. L’obiettivo inquadra queste persone alla ricerca della bellezza, non di reazioni di sdegno o solidarietà.

L’artista, a differenza del comunicatore visivo, non utilizza la bellezza per trasmettere dei contenuti, ma la cerca, spesso dove a nessuno verrebbe in mente di farlo, e la presenta perché possa essere abbracciata e compresa, utilizzando i suoi mezzi: la pittura e la fotografia.

Stefania Digioia percorre questo cammino intorno all’idea della bellezza femminile, muovendosi in circoli, stringendola al centro. Scatta un primo piano intenso, quasi violento, sulla trans Lola che si passa il rossetto sulle labbra, affidando ad un gesto così delicato il compito decisivo di manifestare la sua identità.

La stessa delicatezza, la stessa cura dell’uomo che si passa il rimmel sulle ciglia di fronte allo specchio. La macchina fotografica è davanti al soggetto, dietro lo specchio da trucco, come se volesse rubare il segreto di quella trasformazione, giocosa ed allo stesso tempo tragica, che fa femmina un maschio, anche solo per una notte. I piedi, impietosamente ripresi in un primissimo piano dai forti chiaroscuri, rivelano inequivocabilmente la natura virile del soggetto, anche se sono fasciati in un paio di eleganti scarpe da sera dal tacco alto. Stefania non cede al grottesco: mette semplicemente in luce la disperata tensione dell’uomo verso lo stereotipo consunto della bellezza femminile incarnato dalla vamp e riconosce la bellezza non in questo ideale ma nella tragicità della tensione verso di esso.

Una leggera sottana a merletti, indumento che associamo immediatamente ad un’idea di femminilità morbida e sensuale. Il bianco della seta risalta sul corpo della donna che la indossa e che identifichiamo solo in un secondo momento come un’anziana. L’artista non vuole enfatizzare il contrasto tra l’appeal sexy dell’abito e la decadenza del corpo, anzi, sembra voler esaltare l’essenza di quella bellezza consumata dal tempo, eppure integra nei gesti e nella naturalezza della donna; la sua mano, subito evidente grazie all’uso sapiente della luce e centro della composizione, non ci fa dimenticare il meridione raccontato negli scatti di Franco Pinna.

Pamela distesa sul letto, le chilometriche gambe allungate sulla parete: la sua identità sessuale, che una consistente parte della società vive con inquietudine per la sua supposta incertezza, è perfettamente definita nel ruolo di pin up, a rimembrare, forse inconsapevolmente, le Models ritratte da Man Ray sul finire degli anni ’20 e conservate dallo stesso autore nel suo album privato.

Una foto dai toni intimi e drammatici, giocata su un forte contrasto chiaroscurale, ritrae Lorelain nella vasca da bagno. Avvolto nell’ombra, il volto sembra ancora più delicato e sensuale, mentre la mano in primo piano, investita dalla luce, si mostra possente e virile.

La presenza dell’elemento maschile si manifesta perfino nelle foto che ritraggono una donna incinta. La solidità del corpo, la peluria scura e diffusa, la mimica dura e risoluta appaiono quasi dissonanti rispetto al ventre ed ai seni dolcemente prominenti per la gravidanza ma, anche in questo caso l’artista dialoga con il soggetto in modo da farne emergere la peculiare bellezza. Sembra volerci dire che la bellezza non ha un luogo preferenziale, ma è essa stessa un luogo da esplorare, senza pregiudizi e rinunciando alla sicurezza degli stereotipi e dei canoni comunemente accettati.

L’unico dipinto in mostra è una grande tela che ritrae Lola. Dal fondo grigio cemento emergono pochi tratti scuri e gocciolanti che ne definiscono il volto. Il cinabro del rossetto accende la superficie incolore dell’opera. Un segno rosso che racchiude il gesto, la scelta, l’identità, la bellezza. Con lo stesso colore l’artista, come in tutti i suoi dipinti, ha tracciato i numeri che compongono la cifra 2012. Date che servono a collocare l’opera nel fluire del tempo e l’esperienza diretta che l’ha generata nel suo percorso individuale. Lola e le altre non sono solo sguardi, pelle, vestiti e trucco, carne umana da mettere in posa, ma persone che Stefania Digioia ha conosciuto e con le quali si è messa in gioco.
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