DOMENICO VENTURA - SPAZIO PRIVATO
Non è facile scrivere sulla pittura estremamente criptica, allusiva, provocatoria e simbolica di Ventura, con l'aggravante mancanza dell'aiuto dello stesso autore che, in questo “viaggio” esegetico preferisce lasciare ampio sfogo alla fantasia interpretativa dello spettatore ormai, fin troppo spesso, in questi morti tempi moderni, viziato da una negligente cultura delle immagini ad ogni costo, uso e logoramento. Davanti a questi dipinti, più che mai, è sacrosanto l'obbligo della riflessione e del silenzio a cui è concessa un'interruzione solo per maliziosi e ammiccanti sorrisi[1].
Lo spazio privato che ospita la mostra sembra intonarsi perfettamente all'atmosfera confidenziale del contenuto dell'esposizione stessa; ma è anche uno spazio esiguo che ha obbligato i curatori a elezioni sofferte nell'accattivante mare magnum dello studio del pittore. Le scelte finali sono state ponderate con meticolosità creando un fil rouge tra le opere che, alla fine, sembra ricondurre a un illusorio ordine primigenio.
Eppure tanta diversità e sagace inventiva contraddistingue opere apparentemente così simili tra loro: talvolta Ventura appare più concentrato sulla composizione, talaltra sul disegno, a volte più sul colore, altre sulla simbologia che, comunque, resta in tutte le sue opere un cardinale e potente strumento comunicativo, di indignazione di massa, quella “massa” troppo spesso distratta, di cui tutti noi (che lo si voglia ammettere o meno) facciamo parte e dalla quale Ventura ci concede una doverosa, sensazionale, scaltra alienazione.
Scrivere sulla pittura di Ventura ed esserne spettatori, alla luce di tutto ciò, dunque, non sarà facile ma si rivela spassosissimo perché comporta un attento ragionamento non solo sulla pittura, ma anche sulla tradizione (quella paesana), sulla società (quella provinciale di una meschina contemporaneità), sulle loro contraddizioni esilaranti, sull'anatomia (quella anti-vitruviana, anti-aulica e, anzi, terrena, viscerale, assolutamente ordinaria), su una sessualità spesso nascosta, taciuta, scandalosa ma sempre viva, poche volte sentimentale e lirica, molto più spesso carnale e lussuriosa.
Anna Lucia Cagnazzi
[1] Facile immaginarsi commenti del tipo “Ma che significa? Non posso parlare?”...a questi rispondo in anticipo: “No! Era solo una mia considerazione, non una regola. Fai un po' come ti pare!”
Domenico Ventura nasce nel 1942 ad Altamura, dove vive e lavora tuttora. Conseguito il diploma all’Istituto d’Arte di Bari, studia nella Scuola di Pittura di Giovanni Brancaccio presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli. Esordisce giovanissimo, tenendo diverse personali presso importanti gallerie della sua regione e si pone presto in controtendenza rispetto agli orientamenti del tempo, stabilendo la sua linea di ricerca nel campo della figurazione. Alla fine degli Anni Settanta varca i confini pugliesi, partecipando a collettive a Roma e Matera e tenendo una personale a Milano; prosegue il suo cammino artistico con coerenza e ed una costante e significativa attività espositiva. È artefice di una pittura riconoscibile e personalissima, formalmente composta e raffinata, ma disorienta lo spettatore con soggetti ambigui e situazioni destabilizzanti e paradossali. Nel 1999 Massimo Guastella, in occasione della mostra alla galleria Opera Arti &Arti a Matera, cura un catalogo monografico sulla sua opera e nel 2005 Vittorio Sgarbi vuole un suo dipinto nella mostra tematica “Il Male – Esercizi di Pittura Crudele” presso la Palazzina di caccia di Stupinigi, a Torino e poi nel Padiglione Italia dell’ultima Biennale di Venezia.